I libri di Marzo

I libri letti nel mese scorso. Ho evidenziato quello che mi è piaciuto di più.

La canzone di Susannah – Stephen King (Sperling & Kupfer)
Penultimo espisodio per la saga della Torre Nera, nel quale le cose prendono una piega meta-letteraria per ora ben gestita ma che potrebbe benissimo svaccare nell’episodio conclusivo. King sembra avere le idee molto chiare su dove andare a parare, però. Vedremo.

Sway – Zachary Lazar (Vintage)
Per fortuna l’ho preso in inglese, spendendo molto meno di quanto non avrei fatto con l’edizione Einaudi. Dico per fortuna perché se sulla carta l’idea era interessante (mettere in collegamento le vicende dei Rolling Stones e della Family di Manson attraverso Kenneth Anger e Bobby Beausoleil), il risultato è sostanzialmente deludente e piuttosto confuso. Restano delle belle pagine in cui Lazar si dimostra molto bravo a descrivere la musica (cosa non semplice) e poco altro. Bof.

La ragazza dei miei sogni – Francesco Dimitri (Gargoyle)
Comincia un po’ in sordina: in parte perché la scrittura migliora solo da metà libro in poi e in parte perché la storia comincia come un classico romanzo "generazionale" (giovane incompreso, un po’ frustrato, con le sue pene d’amore). Poi le cose iniziano a farsi più torbide e movimentate e il romanzo prende tutta un’altra piega. Non è un capolavoro, ma è piacevole. Dagon (che ritornerà anche in Pan) è un personaggio meravglioso.

Il cretino in sintesi – Fruttero & Lucentini (Mondadori)
Raccolta di articoli e raccontini ispirati al costume contemporaneo. Dico contemporaneo perché nonostante si tratti di testi risalenti in parte a trent’anni fa, sono sempre attualissimi. Spettacolare la polemica su un testo sulla Pasqua apparso sulla Stampa, raccontata a ritroso, vale a dire partendo dalle lettere di protesta e dalle repliche e tenendo per ultimo il pezzo inciriminato che, rispetto alla levata di scudi, è davvero poca cosa.

È stato un attimo – Sandrone Dazeri (Mondadori)
In vacanza dal Gorilla, Dazieri si dedica a una storia che in qualche modo mantiene i temi della sua serie principale (la labilità dell’identità, la critica alla società, il crimine come motore di tutto) ma che li reincarna in una storia dal sapore diverso, quella di un piccolo spacciatore di cocaina che dopo una botta in testa nei primi anni novanta si risveglia "oggi" che è un affermato e ricco pubblicitario, probabilmente implicato in un omicidio. Seguono tutta una serie di situazioni tendenzialmente grottesche e piuttosto divertenti, specie nelle scene in cui il protagonista cerca di mettersi al pari con l’attualità e i suoi strumenti. Sono belle anche le pagine in cui si racconta come è cambiata Milano negli ultimi quindici anni, molto sentite. Un bel libro, con una buona idea raccontata bene.

Macaronì – Francesco Guccini & Loriano Macchiavelli (Mondadori)
Era un po’ che ci facevo la punta, ai romanzi di Guccini e Macchiavelli. Ed era un po’ che non sapevo se fidarmi o meno. A giudicare da questo primo, avrei fatto meglio a fidarmi prima. Le voci dei due autori si fondono bene in qualcosa che è un po’ più della somma delle due: c’è l’amore e la conoscenza dei luoghi (l’Appennino tosco-emiliano) che è di Guccini e la vivacità dei personaggi e della trama che è di Macchiavelli, il tutto ben amalgamato e omogeneo. La storia parla di alcuni omicidi consumati in un paesino dell’Appennino alla fine degli anni trenta, legati alle vicende di alcuni emigrati in Francia alla fine del secolo precedente. Non si tratta però di un romanzo ideologico: viene raccontata la stupidità del fascismo, la xenofobia nei confronti dei lavoratori italiani in Francia, ma i personaggi sono tutt’altro che macchiette monodimensionali.

Dexter il vendicatore – Jeffrey Lindsay (Gialli Mondadori)
Con le serie tv sono un disastro. Di Dexter ho visto le prime due puntate (la seconda in spagnolo, non mi ero accorto che non era in inglese) e poi basta. Così ho approfittato della ristampa nei Gialli Mondadori del primo romanzo per sapere come andava a finire quello che avevo visto. Lindsay non è certo lo scrittore più bravo del mondo: è un onesto professionista che ha avuto un’idea tutto sommato banale e che è riuscito però a mascherarla bene per tutto il romanzo, così che la rivelazione sull’identità del misterioso killer riesce a non sembrare il cliché che è. Ottima lettura da treno.

I libri di febbraio

Fossi in voi, mi procurerei al più presto quello evidenziato.

Considera l’aragosta – David Foster Wallace (Einaudi)
Forse Wallace andava proclamato patrimonio dell’umanità e protetto da se stesso. Lo dico un po’ con l’entusiasmo del converso e con i limiti di chi finora ha letto la sua produzione di saggistica, però ne sono abbastanza convinto, perché la lucidità, l’ironia e la spaventosa intelligenza che emergono dagli articoli contenuti in questo libro hanno dell’incredibile.

Lunar Park – Bret Easton Ellis (Einaudi)
Inizia come un’autobiografia, che racconta il dietro le quinte della vita di Bret Easton Ellis e poi prende la strada dell’horror kinghiano, con l’inquietante che si insinua a poco a poco nella vita di tutti i giorni e la trasfigura per sempre. Un altro bel libro per l’autore americano. Peccato che Culicchia traduca "light sabre" con "spada di luce", quando si tratta della cara vecchia "spada laser".

L’assedio del Male – Lidia Colleoni (Baldini e Castoldi – Dalai)
Lidia Colleoni non esiste, ma è lo pseudonimo di un noto autore italiano. A me l’hanno detto prima che uscisse il libro, ma basta leggere poche pagine per capire chi è il vero autore. Credo sia giusto dirlo, perché saperlo dà al libro (un thriller di ambiente religioso con qualche venatura soprannaturale e una decisa caratterizzazione beghina) un gusto totalmente diverso: siamo davanti a un autore che inventa non solo una storia ma anche la voce dell’autore fittizio che la racconta. (più o meno lo stesso meccanismo del Signore della Svastica di Spinrad). In entrambi i casi non è un libro perfetto, ma nel secondo il tutto è molto più divertente. Comunque spero in seguito.

Metauro – Michele Petrucci (Tunuè)
Il criterio con cui parlo di fumetti tra i libri del mese è totalmente casuale, me ne rendo conto. Avrei dovuto metterci LMVDM di Gipi, che ho trovato bellissimo, per dire. Però non mi faccio sfuggire l’occasione di metterci questo volume (che sì, tecnicamente è una graphic novel, contenti?) di Michele Petrucci, perché sicuramente ha avuto molta meno visibilità del buon Gipi e se qualcuno si incuriosisce e lo compra io sono contento. Per due motivi: la Tunuè è una casa editrice che sta pubblicando un bel po’ di robe interessanti (fumetti e libri sul fumetto) e Metauro è una storia molto bella, ben disegnata e ben raccontata. Parla della battaglia del Metauro (seconda guerra punica) e del rapporto con i luoghi in cui viviamo, con la loro storia. Petrucci ha uno stile molto personale e stilizzato, che riesce a raccontare molto e a costruire un mondo credibile con pochi tratti. Racconta fatti storici evitando l’effetto "storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi" (benemerita pubblicazione, va detto, ma non un capolavoro a livello di sceneggiatura) e mantiene la narrazione in un registro sospeso in perfetto equilibrio tra reale e fantastico.

Il manuale del cattivo – Francesco Dimitri (Castelvecchi)
Deludente manuale di auto-aiuto e miglioramento di se stessi, ha delle premesse interessanti ma purtroppo finisce per ripetersi già dopo i primi due capitoli. La cosa più interessante sono le schede dei cattivi in mezzo al libro. Dimitri mi sembra molto più a suo agio con la divulgazione del sovrannaturale e dell’esoterico che con questo genere di cose (anche se mi pare che qui e là nasconda un po’ di Crowley…)

3 am serenades (SK & SK)

(in ottemperanza alla proposta di Kekkoz sul decennale della morte di Kubrick)

Come molti sanno, Stephen King non ha mai gradito molto la versione cinematografia di Shining diretta da Stanley Kubrick. Per quanto il parere cinematografico dell’uomo che ha diretto Brivido conti un po’ pochino, bisogna dare atto a King che le sue perplessità riguardano più che altro il fatto che Kubrick ha usato la sua storia per raccontarne una molto simile (e terribilmente più riuscita di quella originale, con tutto il rispetto per il Re).
O forse c’è dell’altro.
In una vecchissima intervista, King raccontava che durante la lavorazione del film Kubrick gli telefonava spesso, incurante del fuso orario.
E così capitava che il telefono di casa King squillasse alle tre di notte e che dall’altra parte ci fosse Kubrick che chiedeva a bruciapelo "tu credi in Dio?". Per poi buttare già dicendo "non credo che Dio esista" un attimo dopo che gli era stato risposto "mah, credo di sì, ma sono le tre del mattino".
Immagino che alla lunga King debba avere sviluppato una certa avversità per il film.

I libri di gennaio

Diverso tutti gli anni e tutti gli anni uguale, il riassunto delle letture del mese, che entra nel suo, ehm, quinto anno di vita.
Evidenziato, il titolo più consigliato.

Autobiografia di un picchiatore fascista – Guido Salierno (Minimum Fax)
In Asce di guerra, Vitaliano Ravagli racconta, con i Wu Ming, la sua vita di partigiano mancato (troppo giovane), che lascia l’Italia per andare a combattere al fianco dei vietcong (e la storia, per quanto possa sembrare improbabile, è stata confermata da Tiziano Terzani). Salierno parte da un percorso simile: troppo giovane per combattere per il fascismo, trova nel dopoguerra modo di proseguire la lotta nelle fila dei giovani del Movimento Sociale Italiano. Arrestato per omicidio, però, in prigione si convertirà al marxismo, per poi diventare sociologo e parlamentare, protagonista di battaglie per il miglioramento della condizione dei carcerati. Le pagine meno scorrevoli del libro sono proprio quelle in cui (in un bel montaggio di piani temporali) Salierno parla della prigione con un tono da intellettuale organico che ti domandi se per caso quelli di Lotta Comunista non ti hanno rifilato un libro dei loro. Al contrario, il racconto da dentro della vita della destra fascista romana, dei suoi ideologi e delle sue vicende politiche è straordinario. Salierno aveva come desiderio quello di uccidere il partigiano che ha ucciso Mussolini. Non tanto per la vendetta in sé (la questione di chi abbia sparato davvero era già controversa allora) ma per costringere il MSI a prendere una posizione: avrebbe approvato il fatto, sottolineando così la continuità con il fascismo e Salò (come sperava Salierno) o se ne sarebbe dissociato, diventando così quello che poi, tagliando con l’accetta, sarebbe diventata (almeno nelle intenzioni di Fini) Alleanza Nazionale? Salierno finirà poi per commettere, per sbaglio, un banale omicidio “comune“, fuggirà dall’Italia, si arruolerà nella Legione Straniera dalla quale verrà poi espulso ed estradato in Italia.
Con le riserve di cui sopra, molto bello. Se non fosse un’autobiografia, potrebbe essere un romanzo di Carlotto.

Sud e magia – Ernesto De Martino (Feltrinelli)
Una ricognizione sulle credenze magiche di alcune zone del sud Italia, condotta con l’analisi antropologica sul campo in Lucania e con quelli della più comune ricerca erudita quando si tratta di parlare dell’origine della “iattura”napoletana. Interessante.

Fuoco nella polvere – Joe R. Lansdale (Fanucci)
Vivace prodotto della vena più scatenata e pulp dell’infaticabile scrittore texano, questo romanzo breve è un sacco di cose: una storia di ambientazione stempunk in un passato alternativo in cui il Giappone controlla, a fine Ottocento, la costa ovest del nord America, un pastiche in cui alcuni dei più famosi personaggi del vecchio west e dei romanzi fantastici dell’epoca incrociano le proprie vite e anche una romantica (seppur non molto convenzionale) storia d’amore. Pedale spinto sulla volgarità, anche piacevolmente gratuita, e sulla costruzione di situazioni spesso due o tre passi più in là della sanità mentale, oltre a un tono generalmente beffardo. Non è certo il Lansdale migliore, ma è un Lansdale che si diverte come un bambino. E io con lui.

Domani niente scuola – Andrea Bajani (Einaudi)

Uno scrittore trentenne all’esplorazione del “pianeta giovani”in una full immersion nei momenti più importanti della vita scolastica: i “viaggi d’istruzione“. Praga e Parigi, con tre scuole diverse, una di Torino, una di Firenze, una di Palermo, con un prequel su di MSN e con il minor numero possibile di preconcetti. Bajani è bravo a gettare uno sguardo ingenuo su quello che vede, a cercare di evitare il sociologismo o il parapsicologismo da ospite di Porta a porta e ogni tanto se ne esce con delle osservazioni tutt’altro che banali. E il ritratto che viene fuori dei “suoi”ragazzi è in parte divertito, molto partecipe, di tanto in tanto preoccupato (per esempio quando scopre il totale disinteresse e sfiducia che hanno per la politica). Con alcuni momenti anche di notevole comicità.

Marcia su Roma e dintorni – Emilio Lussu (Einaudi)
Vengono i brividi, a leggere questa cronaca della prese del potere da parte del partito fascista scritta originariamente da Lussu come libello destinato a spiegare la situazione ai lettori stranieri. Vengono i brividi perché, con i dovuti distinguo, il paragone con l’attualità è tutt’altro che rassicurante. Il mix di insicurezza (reale o percepita), uomini al governo che “decidono”contrapposti a un’opposizione risibile e balbettante, servilismi, opportunismi e cambi di casacca in corsa è terribilmente simile a quanto si legge oggi sui giornali. Una spiegazione è forse dovuta al fatto che in fondo Mussolini non inventò poi nulla di nuovo, con il fascismo, ma semplicemente mise un marchio su un modo di essere che come italiani siamo sempre stati abbastanza bravi a portare avanti.
Al di là di questo, il libro è comunque ammirevole per la semplicità e la chiarezza con le quali racconta lo scivolare del paese nella dittatura, partendo con un tono quasi tragicomico e concludendosi con momenti estremamente drammatici (assediato da squadristi in casa sua, Lussu uccide uno di questi, poi viene mandato al confino, da dove riesce a scappare e rifugiare in Francia). La galleria di voltagabbana che emerge dal libro è sconfortante.

Mani nude – Paola Barbato (Rizzoli)
Il pugnazzo che adorna la copertina se lo meriterebbe in faccia chi alla Rizzoli ha avuto la brillante idea di cercare di far passare il secondo romanzo di Paola Barbato per una specie di Fight Club italiano. Errore doppiamente madornale perché non solo sembra che ti stai buttando con appena dieci anni di ritardo a copiare gli ammerigani, ma perché vai a pure ad attizzare il peggio luogo comune che chi potenzialmente conosce già la Barbato, vale a dire i lettori di fumetti, ha presente sugli autori Bonelli (e di Dylan Dog in particolare), quello che “copiano“.
Peccato, perché il romanzo ha finito con l’avere una visibilità troppo inferiore a quella che avrebbe meritato. Se il precedente Bilico era un thriller scritto con tutti i crismi del caso (e un piacevole twist a metà libro), questo è un romanzo meno incasellabile in un genere: come atmosfera e filosofia di fondo è un noir, forse. Perché è una lunga discesa all’inferno, dalla quale non c’è alcuna uscita. Arrivi in fondo e, come Batiza, pensi di essere diventato abbastanza forte ed esperto da sopravvivere e invece scopri che hai sbagliato tutto.
Non ci sono concessioni all’ironia, alla spettacolarità della violenza, alla morbosità. Anche se parla di combattimenti clandestini, è lontanissimo da Palahniuk. Sia per trama che per concezione di fondo. I combattimenti del Fight Club servivano a rendere i partecipanti più liberi, a farli riappropriare della propria vita. Qui è l’esatto opposto. Non c’è scopo, non c’è redenzione, non c’è possibilità di salvezza.
Arrivi in fondo, e ci arrivi in fretta, perché la Barbato sa scrivere e sa raccontare una storia (anche se qualche dialogo forse suona un po’ troppo “scritto per sembrare parlato“, se capite che voglio dire) e ti sembra che ti abbiano preso a pugni per una settimana. E per un attimo ti domandi se la Barbato si è inventata tutto o se si è appoggiata a qualche dato reale. Poi decidi che preferisci non pensarci.
(su ibs al momento è a metà prezzo, per inciso)

Uomini d’arme – Terry Pratchett (Tea)
Piedi d’argilla – Terry Pratchett (Tea)

Secondo e terzo episodio della serie della Guardia Cittadina. Uomini d’arme mi è piaciuto talmente poco che non mi ricordavo neppure di averlo già letto e comprato un annetto fa. Molto, ma molto, meglio Piedi d’argilla, in cui tutti gli elementi che funzionavano nel primo libro della serie tornano a funzionare, facendo di questa nuova vicenda ambientata nella città di Ankh-Morpork uno spasso in cui i meccanismi del fantasy vengono allegramente sbeffeggiati una pagina dopo l’altra.

La ragazza che giocava con il fuoco – Stieg Larsson (Marsilio)
Su ibs, quando è uscito il terzo volume della trilogia, Larsson occupava le prime tre posizioni dei libri più venduti. Roba da Beatlemania. Ma al di là dell’hype, c’è davvero qualcosa in questi romanzi (unica sua prova narrativa, visto che è morto poco dopo aver concluso il terzo) che ne giustifica il successo. E questo qualcosa è principalmente Lisbeth Salander, che nel primo romanzo è protagonista di molte delle pagine migliori e che qui diventa una protagonista assoluta, che scompare di scena al più bello, costringendoti a divorare le parti senza di lei per scoprire che cosa le è successo. Rispetto al primo romanzo questo è meno un giallo tradizionale e molto più un thriller politico, che tira in ballo anche un pizzico di spionaggio internazionale. Inizia piano, così quando a un certo punto la vicenda parte davvero si prende un bello strattone e poi fila a rotta di collo verso il finale. Larsson non avrà uno stile indimenticabile, ma di sicuro sa come gestire una storia e le attese del lettore.
Il cliffhanger finale è pura crudeltà (per inciso: voglio che i prossimi spot “I’m a Mac”abbiano Lisbeth nei panni del Mac).

Domenica nera – Claudio Paglieri (Piemme)
L’indagine sulla morte di un arbitro, forse per suicidio, nell’intervallo di una partita di serie A porta un ispettore di polizia a scoprire (con un certo anticipo rispetto a “calciopoli“) un mondo di corruzione e partite truccate. Trama non particolarmente originale, ma Paglieri è bravo a tratteggiare il carattere del suo protagonista e a descrivere Genova senza inciampare nel cliché (come succede a Morchio nella sua serie di Bacci Pagano, per esempio). E alla fine, anche se c’è un elemento narrativo scontato che più scontato non si può (il personaggio femminile), il romanzo funziona bene e si legge con molto gusto. E poi Paglieri è molto onesto e chiude la storia del suo personaggio, senza renderlo carne da sequel.

Colui che gli dei vogliono distruggere – Gianluca Morozzi (Guanda)
Metà del romanzo è il sequel di Despero (e anche dell’Era del porco, perché c’è pure Elettra); l’altra metà è ambientata in una Terra parallela in cui Leviatan,un supereroe, vive a Bologna, ha i suoi scazzi sentimentali e ha come nemici dei supercriminali che sono quelli che nel nostro mondo sarebbero delle rockstar (Bowie, Lou Reed, Neil Young ecc.). Come collezione di singole scenette è molto (molto) divertente, specialmente le parti dedicate al povero Kabra, ma anche la parte supereroistica mette in mostra una certa frequentazione del genere (il fatto che Leviatan abbia i poteri che cambiano due volte al giorno mi ricorda un personaggio della Doom Patrol) , adattato allo stile di Morozzi. Dove fallisce, però, è nel dare un senso di compiutezza al tutto. L’impressione è che la parte con Leviatan voglia essere il primo atto di qualcosa da portare avanti magari come fumetto (tipo l’Escapista di Chabon, anche se lì lo spessore e la compiutezza del romanzo Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay era tutt’altra cosa). Però, insomma, le parti che divertono divertono molto.

Neopaganesimo – Francesco Dimitri (Castelvecchi)
Una piacevole panoramica sullo scenario dei culti pagani nati nel XX secolo, con un paio di notazioni interessanti su che cosa sia il “reale”e come lo costruiamo. Ottimo sia da affiancare a Pan sia come lettura autonoma per scrollarsi di dosso un po’ di paranoie su satanisti e affini. (da parte mia, apprezzo molto lo spirito dei discordiani)

Fucktion

"Ecco il blog dei cattivi poliziotti".
Nel momento in cui scrivo, la terza notizia di Repubblica.it è un articolo di Carlo Bonini (con commento di Gabriele "dio quanto sono sensibile*" Romagnoli), con le trascrizioni di una chat di poliziotti che discutono dei "fatti di Genova". Il sommario dice "in un libro i duri delle forze dell’ordine". C’è pure un pdf. Intanto clicco sull’articolo. Al primo paragrafo non virgolettato c’è qualcosa che non va:

Clic. Ogni volta che entrava in quella benedetta chat intranet, Drago ne gustava la dimensione perversa. A cominciare da quel nome un po’ ingessato – DoppiaVela, la sigla della centrale operativa nelle comunicazioni radio – e dal post politicamente corretto che metteva sull’avviso i naviganti. Perché la verità era che lì dentro si poteva finalmente essere un po’ guardoni e un po’ scorpioni. Masturbarsi dietro un avatar, leggendo l’illeggibile o scrivendo l’inconfessabile. Divorarsi a vicenda – sì, proprio come scorpioni in bottiglia – soltanto per scoprirsi più soli nella propria rabbia.

Apro il commento di Romagnoli, parla di un libro chiamato Acab. Guardo il pdf, si direbbe un Einaudi.
Cerco su Google. Trovo quello che devo trovare e m’incazzo.

Il lavoro di inviato di punta svolto da anni per Repubblica è sempre stato alla base dei libri d’inchiesta di Carlo Bonini, come Guantanamo o Il mercato della paura. In parte è così anche per Acab, come testimoniano i numerosi articoli apparsi negli ultimi mesi sul quotidiano incentrati sulla violenza negli stadi e sulla reazione della polizia, ma Acab è più di un libro d’inchiesta: i nomi, le persone coinvolte, i fatti sono tutti veri, spesso notissimi (dal G8 di Genova all’omicidio Raciti) e documentati con la consueta meticolosità, ma l’impianto narrativo è quello di un romanzo.

Non so di chi sia la responsabilità, ma se in un libro non ho alcun problema ad accettare la commistione di vero e verosimile, ne ho molti di più ad accettare che un quotidiano pubblichi un testo che è un misto di realtà e fiction in modo indistinguibile rispetto alle notizie ordinarie, senza mettere alcuna forma di avviso al lettore, fosse anche una semplice parafrasi del testo della quarta che ho riportato qui sopra.
Naturalmente sorvolando sulla pateticità dell’inserire come terza notizia sul proprio sito lo spot al libro scritto da un proprio giornalista che però poverino, pubblicando per una piccola casa come Einaudi ha sicuramente bisogno di tutto il supporto possibile per avere un po’ di visibilità.
Poi probabilmente lo faranno recensire a D’Avanzo, per avere un parere il più spassionato possibile.

Il futuro era un quarto d’ora fa


Premessa

La puntata speciale di "Che tempo che fa" dedicata a De André è stata un po’ così.
Del resto lo si poteva capire dall’inizio, con intervista a un Renzo Piano in modalità cialtrona, che si è premurato di infilare nel minor tempo possibile il maggior numero possibile di stereotipi su quella Genova che non esiste davvero, ma lo stereotipo da cartolina che hanno in mente i milanesi. Con un allegro sfrondone topologico annesso (Via del Campo mica "porta al mare", corre più o meno parallela alla costa). E poi vabbeh, le cover che lasciano un po’ il tempo che trovano (strepitoso però Luca Bizzarri travestito da Vinicio Capossela). Ho spento quando Maggiani ha sfondato il cialtronometro, prima precisando piccato che il genovese è una lingua e non un dialetto (tutti quelli che noi chiamiamo "dialetti italiani" sono in realtà lingue, da un punto di vista linguistico), poi dipingendo un’immaginaria Genova in cui tutti parlano il genovese in ogni occasione. Forse Maggiani e i suoi amici, perché al di fuori della cartolina, il genovese è una lingua sconosciuta alla stragrande maggioranza dei suoi cittadini.

Il punto

Ma in realtà già prima il cialtronometro aveva subito danni gravissimi. Vale dire quando, parlando delle iniziative collegate alla trasmissione, uno degli autori ha detto "poi c’è anche una cosa su Facebook, che non so cosa sia, ma so che c’è qualcosa anche lì". Fazio ha risposto "ah, io ne so ancora meno", grandi sorrisi, grande complicità, grandi teste di cazzo.
Fai un programma che vuole parlare "dei tempi".
Sei pagato, per farlo. Tu e quell’altro lì.
Non puoi fare quello che trova fico ignorare (o far finta di ignorare) Facebook perché quelle robe dei computer, di internet non ci si capisce niente. Non puoi continuare a pensare a internet come se fosse un pianeta alieno, una bizzarria dietro alla quale perdono tempo tipi strambi.
Non puoi per il semplice fatto che oggi internet fa parte della nostra vita quotidiana, al pari, boh, dei cellulari. E se ti arroghi la pretesa di parlare del qui e ora, questo snobismo neo-luddista è francamente ridicolo e insopportabile, oltre che magari un tantinello offensivo verso quella parte della tua redazione che lavora per gestire i contenuti del sito della tua trasmissione. Perché dietro la finta aria da “sono vecchio” che si assume quando si ammette di non saperne nulla si lascia intendere che la si vede come una moda strana che poi magari un giorno passa, tipo la macarena o i Pokemon.
E al contrario è ugualmente fastidioso l’atteggiamento sciccosissimo della principale concorrente di Fazio e dei suoi, la Bignardi, che invece in ogni puntata non manca di far passare il messaggio di quanto sia figa lei che li conosce i blog, la rete, maispeis, feisbuk (e che addirittura è sposata con una blogstar). Semplicemente, è un’ostentazione che è solo l’altra faccia di Fazio e i suoi; non sei figo se conosci e usi gli strumenti del tuo tempo, sei semplicemente una persona che ci vive, nel suo tempo. Quindi è come se ti bullassi di sapere usare un cellulare per mandare gli sms. O di sapere che si attraversa la strada solo quando il semaforo è verde.
E non si tratta nemmeno di aderire al determinismo tecnologico che Grillo predica da Sant’Ilario, per cui la Rete è intrinsecamente buona e il suo utilizzo permetterà di sanare ogni male: come in ogni cosa, il 90% di internet è spazzatura. E forse è una stima ottimistica.
Ma intanto esiste. E non è, come si diceva una volta, una “realtà virtuale”. Facebook (che in Italia, ve ne sarete accorti, ha avuto un lievissimo successo negli ultimi mesi) è quasi il simbolo di una rivoluzione: non si va più “in rete” con un nickname, ma con la propria faccia, il proprio nome, la propria storia. E sta facendo scoprire a persone che probabilmente mai l’avevano sospettato prima che immettere contenuti in rete è una cosa semplice, non un procedimento esoterico accessibile solo a smanettoni incalliti (o peggio ai “giovani” che, si sa, imparano in fretta). Il che è un fenomeno interessante, perché è la prima volta che un servizio del genere in Italia raccoglie cifre veramente da fenomeno di massa (Second Life fu una roba che spinsero più che altro i giornali, un paio di anni fa; ed è sintomatico che SL, già da quello che il nome implicava, fosse l’esatto opposto di Facebook). E penso che se ti occupi di costume e di cultura dovresti tenere più di un occhio aperto su quello che accade intorno a te. Magari anche per parlarne male, per dire che non ti è piaciuto, che lo trovi inutile. Ma devi sapere di che cosa si tratta.

Digressione

Un esempio virtuoso l’ho trovato un quarto d’ora dopo tra le pagine di un libro che ho iniziato. Il libro si chiama Domani niente scuola, l’autore è Andrea Bajani, il tema sono gli adolescenti: Bajani (classe 1975) si è aggregato alle gite scolastiche di tre licei, uno di di Torino, uno di Firenze e uno di Palermo per raccontare le sue impressioni.
Prima di partire, negli incontri con i ragazzi, ha scoperto che usano Microsoft Messenger per comunicare tra loro e ha deciso di installarlo e lasciare il suo contatto “per vedere l’effetto che fa”.
Non so se davvero Bajani non aveva mai usato prima servizi di IM, ma la sua descrizione “ingenua” della vita su msn è ottima. Si capisce che prova orrore per quell’inferno in formato digitale che è msn in mano a degli adolescenti (gif animate di dimensioni inconsulte che sostituiscono non solo gli acronimi o gli smiley ma spesso anche singole lettere o dittonghi, indiscriminatamente, soprattutto), ma allo stesso tempo cerca di capire le abitudini e la logica di chi lo usa e di spiegarle a chi non ne sa niente. E soprattutto lo fa dopo avere provato, dopo essersi bagnato i piedi in quell’inferno.
Avesse scritto “i ragazzi usano msn per comunicare, ma io non ho la più pallida idea di che cosa sia”, avrebbe fatto la figura dello scemo o, peggio, di quello che non sa o non vuole fare il lavoro per cui è stato pagato.
E che fastidio se, alla Bignardi, avesse scritto “i ragazzi usano msn per comunicare. Come, non lo conoscete? Ma è il sistema di chat più usato dai giovani! Aggiornatevi!”.
O alla Grillo, esaltando msn come alternativa agli sms, che gliela mettiamo in culo alle compagnie telefoniche dei cellulari, che in Svizzera con msn ci fanno le elezioni, che è una cosa rivoluzionaria di cui nessuno vi parla perché vi vogliono tenere all’oscuro.
Oppure con toni apocalittici di quelli che internet, i pedofili, la pornografia e una volta qui era tutta campagna.

Concludendo

Ecco, quando penso a come si parla di solito di internet in Italia (altrove non lo so) mi sembra che le “derive” sopra descritte siano troppo usate come punto di vista. Che si parli ancora di internet come di qualcosa di avveneristico e futuribile, quando in realtà è semplicemente parte dell’esperienza quotidiana di milioni di persone ormai da più di qualche anno e dovrebbe diventarlo sempre di più. Sempre che leggi deliranti, come quella che dobbiamo al caro Pisanu che costringe a registrarsi con tanto di documento di identità se ci si vuole connettere da un luogo pubblico come un internet point, segando così lo sviluppo delle reti wi-fi, e la titanica arretratezza delle infrastrutture di mamma Telecom non si mettano in mezzo ancora più di quanto già non stiano facendo per rendere il tutto più difficile.

I libri di dicembre

E tra pirati, barbari,divinità redivive, crociere di lusso, maghi anarchici e altro, chiudiamo le letture del 2008.
Al solito, evidenziato il libro che più mi è piaciuto.

Denti Bianchi – Zadie Smith (Mondadori)
Ho qualche problema con le saghe famigliari, che credo dipenda dal fatto che ho una soglia di attenzione bassissima. Quando entra in scena una seconda generazione di personaggi, sudo freddo. Per fortuna, la Smith è brava a mettere insieme un romanzo torrenziale e generosissimo in cui succede un po’ di tutto, popolato di personaggi sopra le righe ma mai eccessivamente caricaturali. E che aiuta almeno un po’ a capire che cosa sia una società multietnica come quella inglese. Facendo anche ridere, cosa non da poco.

Tortuga – Valerio Evangelisti (Mondadori)
Sui pirati Evangelisti aveva scritto un racconto (in “Anime nere”) che era uno scoppio di ferocia improvviso e selvaggio come un bombardamento a palle incatenate e mitraglia su una nave di orfani di tre anni nel cuore della notte. Ora torna sull’argomento con un romanzo che, conservando intatta la ferocia, traccia del mondo della pirateria nei Caraibi un ritratto a tutto tondo, che non è mai reticente né sugli aspetti positivi né su quelli negativi. A volte forse un po’ troppo, perché alcune pagine e alcuni passaggi sembrano servire solo a mostrare al lettore i frutti delle proprie ricerche più che a far progredire la storia, ma comunque dietro c’è una storia di avventure, amori e tradimenti che appassiona dall’inizio alla fine. E naturalmente non mancano rimandi al presente, con il nichilistico desiderio di accumulo e sperpero di beni che anima i pirati accostato al liberismo più sfrenato.

Cristiani di Allah – Massimo Carlotto (e/o)
I lettori di “Dago”, la serie a fumetti creata da Robin Wood, si troveranno a casa, nell’Algeri del XVI secolo raccontata da Carlotto. E da un istante all’altro si aspetteranno che il Giannizzero Nero spunti fuori a dar manforte al protagonista. Bella storia d’amore e di avventura, il romanzo racconta con efficacia un’epoca il cui mediterraneo era davvero un “mar nostrum”, se si considera con “noi” l’insieme dei popoli e delle culture che vivono sulle sue sponde, costretti a forme di convivenza e di conseguente meticciato che oggi ci appaiono sorprendenti. Anche per Carlotto vale quanto detto sopra per Evangelisti, nel senso che ogni tanto ci sono piccoli smottamenti di info-dumping, ma mai niente di drammatico.

9 agosto 378. Il giorno dei barbari – Alessandro Barbero
Tratto da un ciclo di puntate realizzato per la trasmissione di Radio Due “Alle otto della sera”, è un saggio storico che ricostruisce, con grande scorrevolezza la battaglia di Adrianopoli, uno dei momenti cardine delle cosiddette “invasioni barbariche” (che chiamiamo così solo nell’Europa occidentale). Barbero è molto bravo a dare il senso di un’epoca di trasformazioni, in cui popoli “barbari”, spinti dagli attacchi di tribù nomadi, spingono contro i confini dell’impero chiedendo asilo e a raccontare come la cattiva gestione dell’“emergenza” trasformò questi in un esercito capace di sconfiggere quello romano (già indebolito da altri fattori). Ma soprattutto è divertente ricordare, come Barbero lascia trasparire, che nulla è per sempre e che il Medioevo, e quindi le radici di grossi pezzi della nostra civiltà nascono dalle conseguenze di queste invasioni di immigrati… Piacevoli cenni di storia militare condiscono il tutto, che si legge davvero con piacere.

Despero – Gianluca Morozzi (Guanda)
Gli ambienti e l’impianto di questo romanzo Morozzi li ha poi riciclati in un romanzo successivo (“L’era del porco”, anche quello a base di gruppi rock disastrati e un amore scombinato e impossibile), ma pur sapendolo resta una lettura gradevole. Non fondamentale, ma gradevole, con un buon ritmo e pochi momenti di noia.

Una cosa divertente che non farò mai più – David Foster Wallace (Minimum Fax)

Uno scrittore viene mandato da una rivista a partecipare a una crociera di lusso per raccontare la sua esperienza ai lettori. Lo sguardo di Wallace in questo reportage è affascinante e in grado di far risaltare un incredibile mosaico di piccoli particolari il cui accumularsi porta a delle vette di comicità davvero irresistibili. Poi sarà la suggestione data dalla morte di Wallace (di cui non avevo mai letto nulla) ma sotterranea c’è una vena di malinconia che di tanto in tanto sale in superficie. Molto bello, molto ben scritto.

Pan  – Francesco Dimitri (Marsilio)
Potrei aprire e chiudere dicendo semplicemente che nella biografia dell’autore c’è scritto “gioca di ruolo almeno una volta a settimana”. Ma se lo facessi non potrei dire che “Pan” è un riuscitissimo caso di romanzo fantasy ambientato qui e ora, con personaggi ben caratterizzati (e non completamente riconducibili all’etichetta buono/cattivo, specie quelli “positivi”) e una visione del sovrannaturale coerente e matura. Non è un remake del Peter Pan di Barrie: la natura del rapporto tra la fiaba e quello che succede nel libro di Dimitri ricorda molto le storie di Martin Mystère dedicate alla letteratura (sempre stando in tema di fumetti, credo sia il primo romanzo che leggo a citare John Doe). Il ritmo e le rivelazioni sono dosati bene, portando con la giusta velocità verso il “deragliamento” della realtà dei protagonisti. Gran bel romanzo. No, dico, è piaciuto persino a lei.

Magia rossa – Gianfranco Manfredi (Gargoyle)
Manfredi ha fatto un po’ di tutto, dal cantautore allo sceneggiatore tv, dal fumettista al romanziere. Questo, che è il suo primo romanzo (1983), parla della ricerca di tre amici della Milano di fine anni ottanta sulle tracce di Tommaso Reiner, mago della fine del XIX secolo che sosteneva che un’energia psichica sufficientemente concentrata può sabotare qualsiasi impianto di macchine. Horror, un po’ di fantascienza, occultismo, l’ambiente della sinistra post-77, tutto mescolato insieme e invecchiato, però, non proprio bene. Niente a che vedere con il Manfredi autore di fumetti di adesso.

I libri di Novembre

Evidenziato il "libro del mese". Che fa quasi post a sé, questa volta.
Due libri vengono dalla collana Contromano di Laterza, che sta sfornando diverse cose interessanti.

Refusi. Diario di un editore incorreggibile – Marco Cassini (Laterza)

Marco Cassini è l’editore di Minimum Fax e in questo libro ripercorre la storia della sua casa editrice, spiegando, più in generale, in che cosa consista di preciso il mestiere dell’editore. Alcuni passaggi sono interessante, però il tutto è un po’ troppo concentrato sul proprio ombelico. Se poi avete un minimo di conoscenza dell’argomento trattato, non troverete alcuna informazione di particolare rilievo.

The Looming Tower. Al Qaeda road to 9/11 – Lawrence Wright (Penguin)
La cosa peggiore che si possa dire di un libro di non-fiction è che “si legge come un romanzo”. Però c’è poco da fare: la lunghissima e documentatissima storia di Al Qaida (Al Qaeda è la traslitterazione che usano gli americani per pronunciare qualcosa di simile ad Al Qaida) scritta da questo giornalista del The New Yorker è paragonabile a un grande romanzo. Con alle spalle un lavoro di ricerca e documentazione di prima mano assolutamente titanico: in appendice, viene dichiarata l’origine, tra le altre cose, di ogni singolo virgolettato, per non dire della lista delle interviste condotte. Wright racconta le origini dell’islam radicale a partire dagli scritti di Qutb, che influenzeranno poi Al-Zawahiri (che non spunta dal nulla: era implicato nel tentato omicidio di Sadat in Egitto negli anni settanta) e Bin Laden. La parte dedicata all’ex miliardario saudita e alle sue buffe  avventure in Afghanistan (che gli esordi della sua brigata di ricchi ragazzi sauditi nella guerra santa contro i russi sono tutt’altro che eroici e non migliorano di molto andando avanti) meriterebbe un libro a parte. Tra l’altro pare che non esista nessuna prova reale che Bin Laden soffrirebbe di reni: è solo una congettura fatta sulla base di come cammina in un vecchio video propagandistico. E appare pure improbabile che la CIA debba avere finanziato uno sfigato saudita (e già ricco di suo, all’epoca, perché poi le sue fortune economiche gireranno) quando in Afghanistan poteva contare su orde di guerriglieri nativi, da finanziare contro i russi. E un altro libro meriterebbe la lunga e impietosa analisi degli errori della CIA. Errori che non riescono a fugare le ipotesi più paranoidi e complottiste sulla possibile origine “interna” degli attentati, nel senso che l’Agenzia negava di avere quella parte di informazioni che avrebbero integrato quelle in possesso all’FBI e che avrebbero probabilmente permesso di sventare gli attentati. Dietro a questo c’è il cambio di rotta delle politiche dei servizi segreti americani nel corso degli anni novanta, che abbandonano il lavoro sul campo a favore invece dell’uso di sorveglianza satellitare e affini, raccontato da Bob Baer (ex agente CIA) nel suo “Il fallimento della CIA”. Però, ripeto, questi sono tutti dati che poi ognuno è libero di integrare e incrociare tra loro come meglio crede (io non trovo inverosimile l’ipotesi che in qualche modo l’11/9 sia stato lasciato accadere. Tanto che gli attacchi erano su così larga scala perché Bin Laden e i suoi si immaginavano verosimilmente che il tasso di fallimento sarebbe stato più alto).
Resta il fatto che il libro di Wright è fondamentale per ricostruire la storia di qualcosa (l’islam radicale) che esiste e che è un prodotto decisamente recente della cultura islamica con il quale purtroppo si dovrà fare i conti ancora per molto tempo.
In Italia il libro è pubblicato da Adeplhi, con il titolo “La altissime torri”. Se lo comprate in inglese pagate circa un terzo (e se vi va bene come è andata a me vi arriva pure la versione con una copertina che è un capolavoro di grafica editoriale)

Non leggete i libri, fateveli raccontare – Luciano Bianciardi (Stampa Alternativa)
Un ciclo di articoli semi-seri pubblicati negli anni Sessanta sul tema “Come fare l’intellettuale”. Bianciardi fornisce una breve, ma pungente, guida all’arrivismo e alle scorciatoie necessarie a essere accettati nell’ambiente. Ancora piuttosto attuale, tutto sommato.

Il giovano sbirro – Gianni Biondillo (Guanda)

Il prequel dei due romanzi di Biondillo dedicati all’ispettore Michele Ferraro ha la forma di una raccolta di racconti che ricostruiscono la sua vita dall’abbandono degli studi e della musica passando per i primi incarichi in provincia fino al ritorno a Milano. Ma nonostante la struttura è a tutti gli effetti un lungo romanzo, incentrato (al di là delle trame dei singoli racconti) sul rapporto tra Ferraro e Francesca, destinato, come sanno i lettori dei romanzi precedenti, a una ben triste sorte. Ferraro ne esce come uno dei personaggi più verisimili e “umani” che in cui mi sia capitato di imbattermi. Efficace il ricorso, nei diversi racconti, a stili di scrittura diversi.

La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco – Enrico Brizzi (Laterza)
Un po’ è una raccolta di articoli, un po’ è un’autobiografia, un po’ è il “dietro le quinte” di alcune cose scritte da Brizzi (penso a “Tre ragazzi immaginari”). Brizzi racconta pezzi della sua vita, con sullo sfondo i cambiamenti di Bologna, della sua gente, delle sue abitudini. Per molti versi, per un cittadino adottato come me, è un po’ un “previously in Bononia”: scopri alcune cose nuove, ne riconosci altre che bene o male hai vissuto pure tu, ti aiuta a capirne altre. Una lettura corposa rispetto ad altri libri della stessa collana, ma estremamente scorrevole e interessante.

Le mie cose – Marco Lazzarotto (InStar)

Il modo migliore per descrivere il libro è partendo dalla caramella gommosa che c’è in copertina. Perché dentro, c’è un mondo gommoso, che è stato chiaramente pensato per ricordare quello reale, ma che ha alla fine un sapore completamente diverso e palese finto (e proprio per questo, più buono). Lazzarotto costruisce un mondo terribilmente pop utilizzando tutti gli strumenti di citazione ed esagerazione del post-moderno, in cui i morti vengono caramellati (cioè trasformati in enormi caramelle da leccare durante le visite al cimitero), in cui i bambini vivono soli in quartieri appositi, in cui esiste un ente che regolamenta i genitori separati e il loro rapporto con i figli. Ci sono poi trovate che nascono da chiacchiere con gli amici (tipo i “dubby”, animaletti domestici che si moltiplicano o muoiono a seconda delle preoccupazioni dei loro padroni) e, in generale, un grande dispiego di idee narrative. Forse troppe, perché a un certo punto, esattamente come con le caramelle gommose, rischi che l’effetto finale sia faticoso. Però ci sono dei momenti davvero divertenti e, anche se forse è un po’ troppo lungo, è un libro davvero positivo, per essere un esordio.

La Luce di Orione – Valerio Evangelisti (Mondadori)

Evangelisti, dopo la complessità dell’ultimo romanzo di Eymerich, torna un po’ sui suoi passi, con una storia abbastanza lineare ma assolutamente godibile. La chiave del successo è quella di mandare Eymerich a confrontarsi con un mondo ibrido, quello di Costantinopoli, a metà tra Oriente e Occidente, davanti al quale la sua intolleranza trova terreno fertile per esprimersi (“mi state forse accusando di essere tollerante?” domanda inviperito a un certo punto). Si respira di nuovo l’aria dei primi episodi usciti per Urania ed è un’arietta frizzantina che mette di buon umore.

L’età della ragione del dubbio – Andrea Camilleri (Sellerio)
Da qualche tempo, i romanzi di Montalbano si fanno sempre meno interessanti. Speravo che “Il campo del vasaio” fosse l’inizio di un’inversione di rotta, ma questo riprecipita la serie nella stanchezza. Il plot sarebbe sulle prime anche interessante, poi il tutto sembra un po’ perdersi tra un Montalbano improvvisamente innamorato come un sedicenne e i siparietti con i personaggi secondari che si fanno sempre più faticosi ed estremi. Forse sta arrivando il momento che Elvira Sellerio tiri fuori dal cassetto l’episodio conclusivo già consegnato e che si chiuda.

Sangue garibaldino – Giorgio Ansaldo  (Fratelli Frilli)
Letto cercando qualche dettaglio sulla spedizione dei Mille. Purtroppo è un romanzo bruttarello. L’idea di raccontare un amore tra due dei Mille (un brutale carbonaio che scopre l’amore e un seminarista) con i toni di un romanzo ottocentesco non è disprezzabile. Il risultato è piuttosto scadente, però. Una curiosità: a un certo punto, quando un borbonico punta il fucile su uno dei due protagonisti, il narratore interrompe la finzione e “sfonda” i tempi paragonando quell’immagine a tante altre che si sarebbero viste in futuro, dalla seconda guerra mondiale al vietnam a piazza Alimonda. Una cosa piuttosto simile (ma più goffa e limitata) all’approccio di Moresco nel suo racconto su “Controinsurrezioni” (e credo indipendente da quello).

I libri di Ottobre

Questa volta, ci arrivo puntualissimo ai libri del mese.
Evidenziato il più consigliato.

Io & Freddie – Mike Dawson (BD)
Bisogna separare il giudizio in due parti, per questa graphic novel autobiografica. Da un lato, emotivamente, se siete fan dei Queen vi piacerà moltissimo. Alcuni aneddoti come quelli dei compagni di classe che ti prendono in giro perché sei triste per la morte di un cantante, li ricordo esattamente identici anche io. Per non parlare dell’ammirato stupore davanti a un George Michael perfetto il giorno del Freddie Mercury Tribute. Se però devo valutarla come storia nel suo complesso, direi che per gran parte del libro si gira abbastanza a vuoto. C’è una parte finale molto, molto bella ma che rimane un po’ sospesa lì, slegata rispetto al resto delle pagine, che sono una specie di esercizio di stile sul modello della graphic novel autobiografica. Un’occasione un po’ sprecata, purtroppo. Gradevole il disegno, con una qualche eco dello stile di Joe Sacco.

Uomini che odiano le donne – Stieg Larsson (Marsilio)
Letto negli stessi giorni in cui la tempesta finanziaria iniziava a soffiare, questo giallo di ampio respiro è un’interessante declinazione del modulo della saga familiare, intrecciata con robusti meccanismi da thriller e da giallo (anche finanziario). Larsson scrive molto bene, si prende tutto il suo tempo per dettagliare i personaggi, sviluppare le situazioni, tirare le fila della trama, senza mai risultare macchinoso o forzato. Mi domando quanto durerebbe un’edizione italiana di “Millennium”, la rivista di giornalismo finanziario che dà il titolo alla trilogia di cui questo è il primo episodio.

Montecristo 2. Giorno maledetto – Stefano Di Marino (Giallo Mondadori)
Gli ingredienti sono gli stessi del primo libro della serie (e della produzione di Di Marino in generale): thriller, sparatorie, complotti a sfondo politico. Non so se sono io o se il romanzo è effettivamente meno riuscito di altri (o se soffre della natura interlocutoria di “due di tre”), ma mi sono annoiato abbastanza, leggendolo, cosa che mi era capitata molto raramente in passato.

Il grande tempo  – Fritz Leiber (Urania Collezione)
Leiber lo conosco per le avventure fantasy di Lankhmar, che sono uno dei capolavori del genere (ma con un taglio più picaresco e buzzurro rispetto a quello a cui pensiamo di solito quando diciamo “fantasy”) e che in Italia non si vedono, ingiustamente, in libreria, da un po’ di tempo. Speriamo che qualcuno faccia giustizia. Magari proprio la Mondadori, che qua se aspettiamo che si risvegli la Nord stiamo freschi. Comunque, lamentele a parte, questo romanzo è quasi una rappresentazione teatrale, ambientata tutta in una taverna situata in un limbo temporale nel quale si riposano i combattenti di una guerra combattuta attraverso i tempi e i piani di esistenza da due opposte fazioni. Vivace, scritto con maestria e arguzia e anche piuttosto profondo.

Rabbia – Chuck Palahniuk (Mondadori)
Un po’ un passo indietro (Buster Casey è in fondo un altro Tyler Durden, il party crashing ricorda troppo il fight club) e un po’ un paio di passi avanti (la narrazione orale, frammentata e distribuita tra una pletora di personaggi funziona bene, le sfumature fantascientifiche sono dosate bene) questo romanzo non fa altro, però, che confermare che Palahniuk non è più, purtroppo, il devastante outsider dei suoi primi romanzi. Ormai ha trovato una sua nicchia, certe sue formule, certi temi, certi tic (i “non tutti sanno che” sparsi qua e là con noncuranza). Si legge con piacere, certo, ma senza essere più davvero stupiti e toccati dalle sue storie.

Per sempre giovane – Gianni Biondillo (TEA)
Praticamente uno spin-off dei suoi romanzi gialli, questa novella (o romanzo breve o racconto lungo, fate voi) ambientata negli anni ottanta è la storia on the road di un gruppo rock femminile alle prese con una trasferta per partecipare a un concorso musicale. Biondillo è bravo, bisogna dirlo, e racconta la sua storia con grande abilità, senza particolari sbavature, riuscendo persino a non far sembrare pedanti le discussioni sui gusti musicali delle ragazze. Un paio di eventi sono un po’ telefonati, ma credo che sia voluto. Come probabilmente lo è il fatto che la narratrice sbagli la data della caduta del Muro di Berlino. Bel lavoro.

Il signore della svastica – Norman Spinrad (Longanesi)
Riuscite a immaginare uno scrittore che scrive un libro per dire che il suo pubblico di riferimento è, potenzialmente, un branco di omosessuali repressi e nazisti? Ecco, Spinrad l’ha fatto. “Il signore della svastica” è un romanzo scritto da Adolf Hitler, che emigrato in America nel 1919 sarebbe diventato un importante membro della comunità fantascientfica: illustratore, curatore di riviste, recensore, autore vincitore, proprio con questo romanzo postumo, di un premio Hugo. Il romanzo racconta le vicende di un eroe, Feric Jagger, che in un futuro post-atomico conduce fino alla vittoria gli esseri umani puri contro i mutanti che li dominano. Jagger è un eroe come se ne trovano a migliaia nella narrativa di genere: bellissimo, forte, intelligente. Brandisce, unico a poterlo fare, una mazza antichissima modellata come un braccio terminante in una mano stretta a pugno che porta un anello con incisa una svastica (insomma, un colossale dildo per il fist fucking).
Se non si sapesse che il suo autore è “Hitler”, il romanzo sembrerebbe in tutto e per tutto una normale opera di heroic fantasy post-atomica, tanto bene ne riflette i luoghi comuni.
La parte divertente è la nota critica posta dopo, in cui un trasparente alter-ego dell’autore commenta il testo, raccontando la vicenda di Hitler, delineando la storia alternativa del mondo in cui si è prodotto il romanzo e spiegando i simboli di cui è intessuto.
Spinrad è bravissimo a tenere in piedi tutto il baraccone, sia il romanzo che la nota critica, facendo prima appassionare il lettore a una vicenda che va avanti in un parossismo di delirio che riflette il progredire di agitazione di Hitler nei suoi discorsi, e poi smontando tutto il meccanismo analiticamente, con una critica che mette in luce quali punti di contatto esistano tra l’ideologia nazista e certi luoghi comuni della narrativa di genere.
Una satira efficacissima, che merita una lettura.
La versione che ho io, Longanesi, l’ho recuperata su una bancarella ed è degli anni settanta. Fanucci l’ha ripubblicato nel 2005, ma attualmente dovrebbe essere di nuovo fuori catalogo. Buona caccia.

Don’t.

Alcune modeste proposte per rendere migliore il mondo dell’editoria.

* Proibire, per sempre, la pubblicazione di romanzi gialli in cui personaggi storici indagano su uno o più omicidi.
* Si fissi a due il numero di novità pubblicate nell’arco di un anno solare da un singolo gruppo editoriale sulla cui copertina, quarta o bandella compaia il concetto di "capolavoro", comunque questo sia espresso.
* Chiunque verrà sorpreso a recensire, su carta o in rete, un libro di Paolo Nori scrivendo alla Paolo Nori verrà passato per le armi con effetto immediato.
* NIENTE-ELFI. E’ lecito solo citarli di sfuggita in dialoghi nei quali si celebra con gioia la loro estinzione al seguito di un lungo e dolorosissimo sterminio (lo stesso vale per qualunque frazione di elfo).

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