Non ho visto la puntata della settimana scorsa di Santoro. Ma ne ho viste abbastanza da quando è tornato in tv per immaginare come il nostro abbia gestito la cosa. Vale a dire confezionando un paio d’ore fatte per tranquillizzare chi già la pensa in un certo modo che tutto sta andando in un certo modo. La puntata di un paio di settimane fa sulla Sardegna era una cosa incredibile. Sono andato a dormire con la ferma convizione che il mattino dopo gli operai intervistati avrebbero fatto la rivoluzione e scacciato Berlusconi dall’Italia.
E invece.
Ma Santoro alla fine fa bene a fare quello che fa nel modo in cui lo fa.
Non è una rivelazione né uno scandalo dire che Santoro è vicino a Di Pietro (lo è dirlo nel modo in cui l’ha detto Cicchitto). In fondo è un suo diritto. E ci sono due modi di concepire il pluralismo: si può desiderare che le trasmissioni siano assolutamente e idealisticamente equilibrate (che mi sembra impossibile) o si può accettare che ci siano diverse trasmissioni con diversi orientamenti e che da questa pluralità uno sintetizzi quello che ritiene più corretto.
Per altro, se nella trasmissione si sono diffamate persone e/o organizzazioni, ehi, le querele esistono per quello. Ne sono arrivate dai diretti interessati? Sì, no? Boh.
Per contro, immagino che andare in giro a svegliare gente che dorme in macchina chiedendo "perché dorme in macchina?" o "come mai non avete mangiato? Non avevate fame?" (per tacere del vagolare tra le rovine brandendo orsacchiotti di peluche e preoccuparsi di organizzare collette per il Duomo con i cadaveri ancora caldi) sia grande giornalismo
Quello che non stupisce è che il terremoto sia diventato una buona scusa per ribadire una volta di più che non si disturba il manovratore. Che il giornalismo dovrebbe fare vedere solo le cose belle (tecnicamente si chiama "propaganda", allora). E che mettere in dubbio la perfezione della "macchina dei soccorsi" (espressione da abolire insieme a "gara di solidarietà") è disfattismo. Ma se la macchina dei soccorsi fosse perfetta, l’altro giorno non avrei visto un medico volontario dire che fa dei turni di 16 ore. S-e-d-i-c-i ore. Perché poi magari se dici che non tutto va benissimo sei costretto anche ad ammettere che è perché nessuno aveva approntato nulla nonostante ci fossero gli estremi per stare sul chi vive (e senza radon, che pure è una strada interessante in prospettiva; semplicemente erano mesi che la terra tremava). E allora poi che figura ci facciamo?
Invece, andiamo avanti, tanto siamo bravissimi a metterci una pezza. Se diventassimo più bravi a farci degli sbreghi meno grossi sarebbe una gran conquista.
A farne le spese, fino a un certo punto perché in fondo è una specie di medaglia, è Vauro.
Ora, Vauro andrebbe abolito dalla tv per il semplice fatto che le vignette lette e spiegate fanno cagare.
Che lo si faccia saltare per una vignetta assolutamente sobria è indice di ridicolaggine.
Opinionisti caricati a molla stanno già riempendosi la bocca di "limiti e confini della satira". Appena smetto di digitare sento i loro ingranaggi che si caricano, in lontananza.
Altri diranno "non fa ridere", "non si può fare comicità sui morti" o altre cose del genere.
Ma lo scopo della satira mica è far ridere. Tralasciando la voce di Wikipedia, che al momento è bollata come non neutrale perché "rifà eccessivamente alle visioni del comico Luttazzi, e presenta solo la satira antireligiosa parlando indefinitamente di censura", mi butto sul caro vecchio De Mauro online:
sà|ti|ra s.f.
TS lett. 1a composizione poetica che elabora con intenti moraleggianti e critici, aspetti, figure e ambienti culturali e sociali, con toni che variano dall’ironia, all’invettiva, alla denuncia: le satire di Orazio, di Ariosto | l’insieme dei componimenti satirici di un poeta, di una letteratura, di un’epoca: la s. latina, la s. moderna | il tono, il carattere che informa tali componimenti: la s. pungente di Giovenale 1b genere letterario cui appartengono tali componimenti
2 CO estens., scritto, spettacolo o anche comportamento, discorso e sim., che mette in ridicolo comportamenti o concezioni altrui: s. di costume, s. politica; fare oggetto di s., fare la s. di qcs., mettere in s.
Non mi sembra che ci sia scritto che la satira debba far ridere. Nel caso di Vauro la vignetta (e altre simili) non vuole far ridere. Collega una proposta di legge che potrebbe contribuire all’abusivismo edilizio con una tragedia causata anche dal fatto che negli anni passati si è già costruito a cazzo. La risata nasce, se nasce, come reazione a una specie di, boh, chiamiamolo imbarazzo.
Che poi nel senso comune "satira" sia sinonimo di "comicità" è tutto un altro paio di maniche. Ma visto che come diceva Quintiliano la satira è un genere letterario completamente originale delle terre in cui viviamo, pretendo che quando parliamo di satira lo facciamo con un minimo di attinenza al suo senso originale.